9 febbraio 1849, restare fedeli agli ideali di Giuseppe Mazzini Il ruolo politico dei Repubblicani di Francesco Nucara, Presidende PRI 9 febbraio 1849: l’Epifania della Repubblica Italiana, realizzatasi un secolo dopo. I repubblicani, e in modo particolare i repubblicani romagnoli, celebrano questa ricorrenza come se fosse il perpetuarsi di un ideale mai domo, malgrado le varie mutazioni sociali e, perché no, anche ideali. Nessuno è più disposto, repubblicano o meno, a sacrifici personali in nome di un bene comune; un tempo si sarebbe detto per il bene della Patria. I tempi sono mutati ma gli ideali, se sono sostenuti da basi solide e da pensieri forti, hanno sempre un inestimabile valore, pur adattandosi al mutar dei tempi. Ma i tempi sono mutati attraverso una storia che profetizzava un avvenire diverso. La Repubblica Italiana si è realizzata cento anni dopo la Repubblica Romana e l’Unione Europea ha cominciato a definirsi esattamente un secolo dopo la nascita della Giovine Europa. Quando Ugo La Malfa ebbe a dichiarare, in un’intervista a Pasquale Bandiera per La Voce Repubblicana: “Ho spento i lumini a Mazzini”, ha voluto significare che aveva posto fine all’idolatria di Mazzini, non al suo pensiero. Accendere i lumini a Mazzini era una storica tradizione romagnola, che si esplicava proprio il 9 febbraio. Far finire l’idolatria di Mazzini non significava abbandonare il suo pensiero. Al di là dei cultori teorici del pensiero mazziniano: Conti, Pacciardi, Tramarollo, per citare quelli più recenti e a noi più noti, Ugo La Malfa, che non aveva e non poteva avere una tradizione mazziniana, ha applicato pragmaticamente tutto quanto il pensiero mazziniano poteva esprimere, sul piano sociale e sul piano politico-istituzionale. Ricordiamo Ugo La Malfa poiché fu il leader incontrastato, anche formalmente, per oltre un decennio e venne apprezzato dai suoi avversari interni, anche i più tenaci (Pacciardi) per le sue posizioni sui problemi della società italiana. Nel ricordare questa giornata senza scivolare nella retorica usuale, vorremmo portare alle menti di quanti si scordano delle idee mazziniane, e di quanti queste idee non le conoscono, la Costituzione della Repubblica Romana del 3 luglio 1849 e la sua sconcertante attualità. Ai tanti dilettanti che in questo periodo vogliono riformare la Costituzione Italiana, e tra questi riformatori non certamente tutti dilettanti, proponiamo una lettura o una rilettura della Costituzione del 1849. Cominciamo dall’art.1: nessuna differenza tra quanto deciso nel 1849 e quanto proposto da Ugo La Malfa nel 1947. Quest’ultimo, in contrasto con Fanfani e Togliatti, proponeva che l’art.1 del vigente testo costituzionale fosse scritto con queste semplici parole: “L’Italia è una Repubblica fondata sulla libertà”. L’intendimento sottointeso consiste nel considerare la libertà come madre della crescita sociale, civile, politica e morale del Paese. In questo momento storico di emergente razzismo, antisemitismo e jihadismo vediamo cosa c’era scritto al punto VII dei principi fondamentali della Costituzione del 1849: “Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici”. E nell’articolo successivo: “Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale”. L’art.7 dell’attuale Costituzione ne ha fatto strame. Paradosso dei paradossi: mentre i repubblicani e i cultori del Risorgimento ricordano la Repubblica Romana, due giorni dopo i cattolici festeggiano la ricorrenza del Concordato. Il danno più grave che Mussolini, per salvaguardare la sua popolarità, e solo quella, ha lasciato all’Italia! Nel chiacchiericcio, ormai più che ventennale, sulla riforma della Giustizia, basterebbe agli addetti ai lavori una lettura dell’art.4 del Titolo I, sempre della Costituzione del 1849: “… Nessuno può essere carcerato per debiti” e all’art.6: “Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge”, e di seguito all’art.9: “Il segreto delle lettere è inviolabile”. Leggere e applicare, e la riforma della giustizia è fatta. Tante altre cose potrebbero essere scritte sul ruolo e sul valore di quella Costituzione, ma lasciamo ai costituzionalisti l’onere di fare un parallelo tra quanto avvenuto or sono 166 anni, quanto accaduto nel 1947 e quanto sta per accadere con l’ostinata perversione di riformare comunque, senza sapere cosa riformare. Forse sarebbe il caso che il PRI, proprio in questo momento, prima, durante o dopo il Congresso organizzasse un convegno tra costituzionalisti che possano affrontare il tema dal punto di vista scientifico, lasciando al Partito un’interpretazione politica supportata, però, dal parere di esperti. Per capire bene la differenza tra la Repubblica Romana e quella attuale basta ricordare il primo discorso che Mazzini pronunciò all’Assemblea: “Per repubblica noi non intendiamo una mera forma di governo, un nome, una opera di ragione da partito a partito, da partito che vince a partito vinto. Ma intendiamo un principio, intendiamo un grado di educazione conquistato dal popolo, un programma di educazione da svolgersi: una istituzione politica atta a produrre un miglioramento morale”. Si comprende la differenza tra ora e allora? Penso proprio di si. Mazzini già nel 1849, in un discorso alla Costituente, ammoniva i rappresentanti di quel consesso a non creare nuove “caste” politiche in luogo delle “caste” liberali e monarchiche precedenti. A noi pare che oggi l’obiettivo di chi ci governa, e di chi ci ha governato, sia proprio quello di creare caste politiche, in virtù dei loro interessi politici o personali poco importa. Se si vuole una politica atta a produrre un miglioramento collettivo della società in cui viviamo si deve cambiare registro a cominciare dalle leggi elettorali. Abbiamo deciso di celebrare così la Repubblica Romana. In modo inconsueto rispetto al passato. Cercando paralleli tra oggi e allora, che diano un senso, più che alle battaglie sul Gianicolo, alla politica prospettata in quel periodo. Sarebbe utile una rilettura politica di quegli avvenimenti, per poter scrivere il canovaccio di quello che dovrebbe essere il futuro del nostro Partito: il Partito della Modernità ancorato ad una tradizione ideale, senza scadere nel vieto e cieco conservatorismo. Come scriveva Cino Macrelli in un opuscolo del 1962: “Ma quando dal piano ideologico scendiamo nella mischia della storia attuale noi ci ricordiamo del messaggio che il Maestro ci ha lasciato: «Presentiamo col core e colla mente una grande epoca … Noi invochiamo un mondo sociale …». Ed allora sentiamo che per l’attuazione di questo messaggio il nostro posto, il posto del nostro Partito, in questo momento, può essere soltanto con quanti continuano, col pensiero e con l’azione, a mantenersi fedeli agli ideali di Giuseppe Mazzini."Evviva la Repubblica Romana. Roma, 9 febbraio 2015 |